29 dicembre 2006

Nel nome del Blues: il nuovo libro di Paolo Ganz







Dopo questi primi articoli dedicati all'armonica amplificata voglio dedicare una piccola parentesi ad una persona che è stata per me e per tanti armonicisti italiani un grande punto di riferimento. Tale persona è Paolo Ganz, uno dei primi maestri riconosciuti di armonica blues in Italia. Credo che tante persone abbiano cominciato a suonare l'armonica blues, tanti anni fa, proprio grazie ai suoi metodi, nei quali, non solo ha saputo spiegare in maniera egregia le tecniche di base dello strumento, ma ha anche saputo trasmettere il significato del Blues.
Ancora una volta Paolo torna a parlare di Blues, ma non con un metodo, bensì con un libro di racconti che descrivono il significato del blues attraverso storie vissute. Il libro si chiama 'Nel nome del Blues' ed è possibile contattare Paolo per maggiori informazioni.
Concludo riportando una bellissima recensione del libro scritta da Bertrando Goio:

"Descrivere una sensazione è difficile. Difficile è trovare le parole che esprimano uno stato d’animo, una cosa che, spesso, è impalpabile e inafferrabile perché appartiene alla sfera del pensiero. E il blues è una sensazione, e come tale quasi impossibile da esplicare. Il blues non è solo musica: il blues è un modo di pensare, di soffrire, di gioire, di provare dei sentimenti. Insomma il blues è la vita, e la musica è uno dei modi in cui il blues si manifesta, ma non è il solo: la musica esprime tutto ciò in ritmi, melodie e armonie; ma il blues si può vivere anche in altro modo, lo si può descrivere in altri modi, e uno di questi modi è la scrittura, e in particolare il racconto, che, come forma letteraria, meglio si confà al blues, che non è mai qualcosa di eccessivo, ridondante e voluminoso: il blues non può essere un romanzo. Il vero blues si manifesta in termini di essenzialità perché il blues si spiega con se stesso e non ha bisogno di fronzoli e decorazioni: un collo di bottiglia che scivola su una corda, un accordo soffiato su un armonica…

Ed è proprio quello che troviamo nei racconti di Paolo Ganz che, a fianco della sua consueta attività di armonicista, ha deciso di parlare del blues in altro modo: i suoi sono veri e propri pezzi blues in forma di racconto: e non il blues che noi tutti appassionati e innamorati immaginiamo nelle lontane terre del Mississippi o nei ghetti di Chicago, ma un blues vissuto, vissuto in Italia e, in particolare, nel Veneto e nei suoi dintorni. I racconti di Paolo Ganz dimostrano come il blues sia qualcosa di universale, che può essere raccontato anche qui, nelle nostre pianure e tra le nostre montagne, sempre naturalmente tenendo fermo il “sogno” che chi fa blues si porta dietro delle suddette lande dove il blues è nato, tra i neri d’America.

Sono storie di provincia, di piccoli locali sperduti nelle montagne, di piccoli personaggi che la storia non ricorda. Storie del porto in cui si può quasi sentire l’odore salmastro che si insinua tra cordame, moli e magazzini; di curve femminili che fanno sognare gli avventori di una locanda; storie di piccole miserie e storie di amicizia, di uomini che vivono come tanti, di gente e di cose comuni come lo sono quelle di un pezzo di Sonny Boy Williamson. E sullo sfondo di tutto questo, serpeggia, si insinua, ha spesso come diretto protagonista, il blues! Sì, il blues che si sente prepotente e avvolgente e che Ganz sa descrivere anche se non parla di accordi e di riff: i suoi non sono racconti sulla musica: sono racconti in cui la musica è il leitmotiv, lo sfondo poetico in cui vite felici e vite disperate si svolgono sul nastro del tempo che passa: il tempo è la malinconica presenza che si avverte sempre in queste bellissime storie dove spesso c’è un’epoca che si chiude.

I racconti sono ora ridanciani, ora nostalgici, ora grotteschi, e c’è sempre il filo rosso dell’ironia che non abbandona mai la prosa di Paolo. Ma, a ben vedere, la sostanza di cui blues è fatto non è per la maggior parte una grande, grandissima ironia? Ecco perché, tra gli altri motivi, i racconti de Nel nome del blues mi sento di ripetere che non sono racconti sul blues, ma sono blues che, invece di essere suonati e cantati, sono narrati. Raccontate come sa fare Paolo Ganz, con una prosa secca, pungente, essenziale come un blues di Charlie Patton.

Ganz sa mettere in parole senza retorica e senza tante storie, quello che ha vissuto, provato e sentito nel suo animo. E niente è mai esplicito e spiattellato, ma tutto si percepisce. In questi racconti, Paolo dimostra come tra il blues che egli suona con animo e passione sul palco di un locale e quello “nostrano” dei suoi racconti non ci sia differenza. E’ vita, è sofferenza, è amore, è ricordo ed è ironia. E’…Blues!"

15 dicembre 2006

Microfono Calrad DM-9: ottimo rapporto qualità-prezzo







Voglio portare all’attenzione di tutti un microfono vintage davvero eccezionale. Si tratta del Calrad DM-9 , microfono dinamico ad alta impedenza. La Calrad produsse in passato una serie di modelli di microfoni molto diffusi tra gli armonicisti, tra cui un modello usato anche da Walter Horton (Calrad 400-c).

Ho acquistato di recente una decina di questi microfoni in stock, mai usati e nella loro scatola originale. Rispetto al modello originale è stata apportata un’utilissima modifica dal mio amico Federico Di Mambro. Federico, oltre ad occuparsi della riparazione di amplificatori valvolari vintage o moderni, può su richiesta effettuare customizzazioni su microfoni per armonica, come l’aggiunta del controllo del volume, la verniciatura e così via (vedi il green bullet nella foto). Nel caso del Calrad la modica da lui fatta è consistita nella sostituzione del connettore con uno uguale a quello montato su molti microfoni vintage, come ad esempio l’astatic JT-30: mentre col connettore originario era impossibile trovare un cavo adatto di buona qualità, adesso (come si vede nella foto) è possibile usare un cavo stile vintage o un adattatore, ovvero accessori che i possessori di microfoni come l’astatic jt-30 conoscono bene. In particolare l’adattatore permette di connettere al microfono un comunissimo cavo da chitarra, dando la possibilità quindi di poter scegliere tra una miriade di cavi di buona qualità ad alta impedenza.

Provando il Calrad con alcuni dei miei ampli vintage ho constatato che il microfono ha davvero un suono molto potente e graffiante. La risposta è ottima sia sui bassi che sui medio-alti; il suono si avvicina molto a quello dei migliori green bullet vintage. Le piccole dimensioni lo rendono poi particolarmente comodo da usare. Insomma mi sento di consigliarlo sia ai meno esperti che agli armonicisti più esigenti: per chi inizia può essere una alternativa più economica ad altri microfoni; per i più esperti e invece un utile microfono da abbinare ai propri ampli ed usare in alcune occasioni in cui si vuole un suono diverso o, addirittura, da usare come microfono principale.

A me, e ai miei amici che lo hanno già provato e acquistato, è piaciuto di più dei nuovi Shure 520dx e Hohner blues blaster.

Chi è interessato lo trova in vendita su italianharp.it

03 dicembre 2006

I Fender: breve panoramica







Sicuramente nel mio blog non posso non dedicare un breve articolo agli amplificatori Fender vintage, essendo la fender la marca di amplificatori più famosa al mondo in ambito blues. Intanto per fender vintage intendo tutti i modelli che vanno dai primi (prodotti alla fine degli anni 40') fino agli ultimi con circuito 'punto a punto' dei primi anni 80'. In realtà in America solo i modelli prodotti prima della fine degli anni 60' sono considerati vintage poichè i modelli successivi sono ancora così diffusi da non essere ancora ricercati dai collezionisti.
La fender ha riproposto, nel corso del periodo da me preso in considerazione, una serie di modelli apportandogli di volta in volta una serie di modifiche costruttive, funzionali ed estetiche. Sintetizzando e generalizzando tali modelli possono essere raggruppati nelle seguenti categorie: i tweed (fino al 1960), i brownface (dal 61' al 63'), i blackface (dal 63' al 67'), i silverface (dal 68' ai primi anni 80'). Quindi i vari modelli di ciascuna categoria sono accumunati tra loro per avere simili caratteristiche che li distinguono dai modelli delle categorie precedenti e successive.
Sicuramente i fender tweed prodotti tra il 55' e il 60' sono i più desiderati e con il più alto valore collezionistico. La caratteristica principale di questi modelli è quella di avere una saturazione cremosa già a bassi volumi ed un suono medioso. Il fatto che oggi tante ditte costruttrici di 'boutique amps' producano riproduzioni di tali modelli dimostra quanto siano amati dai chitarristi blues. Per l'armonica sicuramente sono ottimi ampli ma c'è da tener conto di alcuni aspetti che spiegherò.
La mia esperienza si limita all'aver posseduto per alcuni mesi il famoso tweed champ del 59' e nel possedere il gibson ga6 che ha un circuito identico al desideratissimo tweed deluxe. Riguardo al champ si tratta di un piccolo ampli con un circuito davvero semplice ed essenziale con solo la regolazione del volume. A mio parere l'unico punto debole di questo ampli, a parte le limitazioni che in genere ha un ampli piccolo rispetto ad uno più grande, è quello di innescare facilmente il feedback alzando il volume. Lo stesso vale per il tweed deluxe che, sebbene sia un ampli più potente (15 watt), permette di sfruttare solo una piccola parte della sua potenza. Ovviamente la differenza rispetto ai piccoli fender moderni è abissale sia in termini di saturazione, che in questi vecchi modelli è molto maggiore, sia in termini di bellezza del suono. Sicuramente i modelli più grandi, che ancora non ho avuto modo di possedere (costano tantissimo), sono molto belli con l'armonica: ad esempio il modello super e il pro, entambi con una potenza di circa 30watt e rispettivamente con due coni da 10" e un cono da 15"; dovrebbero dare un forte volume ed una saturazione accettabili. Tra i piccoli in tweed mi piacerebbe invece provare il princeton; questo ha un circuito identico al champ ma con l'aggiunta del controllo del tono; inoltre ha un cabinet decisamente più spazioso; in particolare l'aggiunta del controllo del tono dovrebbe essere utile sia per aumentare i bassi e sia per ottenere un volume più forte prima di innescare il feedback.
Riguardo al princeton ho pessoduto tutti i vari modelli sucessivi; attualmente ho solo il modello riportato nelle foto in alto; si tratta di un raro modello di transizione tra il brownface e il blackface: in pratica il circuito, le funzionalità e il suono sono quelle del brownface mentre l'estetica è una via di mezzo tra i due modelli (forma e manopole del brownface e colori del blackface). Si dice che Walter Horton abbia usato spesso diversi modelli di princeton tra cui anche il brownface. Io che li ho provati tutti (tranne il tweed) sicuramente preferisco questo per l'armonica: rispetto ai modelli successivi da una saturazione maggiore; bello soprattutto con microfoni a cristallo come l'astatic JT-30. Il modello in mio possesso è al 100% originale, escluso ovviamente le valvole (che sono comunque rigorosamente NOS); chi è interessato può inviarmi una proposta di acquisto.
Concludendo possiamo dire che gli ampli fender non sono sicuramente la migliore scelta per un'armonicista come rapporto qualità-prezzo: è possibile acquistare ampli vintage di altre marche (gibson, premier, ecc.) spendendo molto meno e ottenendo risultati simili o, in alcuni casi, migliori. Bisogna però considerare che raramente un ampli si tiene per tutta la vita ma spesso si decide di rivenderlo per svariati motivi (diverse esigenze, desiderio di cambiare, ecc); in questi casi l'acquisto di un amplificatore fender vintage costituisce un ottimo investimento: è vero che lo si paga tanto ma poi è possibile rivenderlo (più facilmente di qualsiasi altra marca) anche a più di quello che si è pagato.
Per farsi un'idea dei prezzi: il tweed champ è quotato in america intorno ai 1000/1200 dollari; il tweed deluxe è quotato intorno ai 2000/3000 dollari; per gli altri modelli il prezzo aumenta, in genere, in base alla potenza e al numero/grandezza dei coni.